Patologie

Ragade Anale

Ragade Anale 1759 1757 Dr. Aldo Infantino

Che cos’è?

La ragade anale è una piccola ferita dell’ano a forma di goccia, generalmente localizzata sulla linea posteriore sebbene nel 10% delle donne si trovi anteriormente, più raramente in posizione laterale.

Perché si forma?

Non esiste una teoria accettata universalmente, ma vari fattori concorrono a determinare o a predisporre alla sua formazione. L’evacuazione di feci dure, soprattutto se difficoltosa e protratta, può causare una lacerazione. Anche lo stress, che determina uno spasmo involontario dello sfintere interno (uno dei muscoli dell’ano) e quindi un ostacolo all’espulsione delle feci può essere causa della formazione della ragade; diarrea cronica, traumi locali e malattie infiammatorie che coinvolgono il canale anale possono esserne all’origine.
Una volta formatasi, il dolore avvertito durante il passaggio delle feci provoca uno spasmo protratto dello sfintere interno, involontario, instaurando un circolo vizioso che non ne permette la guarigione.

Quali sono i sintomi?

Il sintomo principale è il dolore, anche molto intenso, durante la defecazione; il dolore persiste da qualche minuto a qualche ora. Possono essere presenti sanguinamento, in genere modesto (sangue sulla carta igienica) ed a fine defecazione, e prurito.

Come si fa diagnosi?

La ragade è visibile alla visita proctologica; l’esplorazione rettale, possibile se il dolore non è troppo intenso, permette la valutazione del tono, in genere molto aumentato, del canale anale. Le caratteristiche, più che la durata, permettono di distinguere la forma acuta da quella cronica; questa spesso si accompagna ad una marisca (appendice dermica) all’esterno e ad una papilla ipertrofica all’interno. La diagnosi differenziale va posta con le ragadi secondarie a malattie infiammatorie croniche (m.di Crohn e rettocolite ulcerosa), con le ulcere sifilitiche o tubercolari, con le lesioni precancerose e con i tumori dell’ano, ma anche con le lesioni traumatiche.

Come si cura?

Circa i 2/3 delle ragadi acute e metà di quelle croniche tende a guarire con un approccio conservativo, che prevede:

  • l’uso di integratori formanti massa ed una dieta ricca di fibre con adeguato introito idrico (almeno 2 litri di acqua e bevande non gasate al dì) in modo da evitare il passaggio di feci dure.
  • I bagni caldi più volte al giorno aiutano la guarigione, poiché il caldo riduce lo spasmo dei muscoli.
  • ,l’uso dei dilatatori anali, che sfruttano sia l’azione meccanica che l’eventuale effetto del calore per ridurre l’ipertono sfinterico, ha ridotto di molto gli interventi chirurgici. Non vi è conferma in Letteratura. La dilatazione anale controllata consiste nella dilatazione, a pressione controllata, dello sfintere con un palloncino introdotto nel canale anale, senza rischi per la continenza. I primi risultati riportano un’efficacia del 95%, ma ulteriori studi di conferma sono necessari.

 

  • La terapia medica consiste in pomate a base di nitroglicerina, farmaci calcio-antagonisti e iniezioni locali di tossina botulinica; hanno un’efficacia simile tra loro, producendo un miglioramento che non sempre persiste nel tempo e soprattutto si può osservare una ricomparsa della ragade dopo guarigione in circa la metà dei casi. I dati italiani recenti relativi alla pomata alla trinitroglicerina allo 0,4% sembrano essere promettenti in termini di rapido sollievo del dolore e di guarigione a lungo termine.

La terapia chirurgica consiste nella sfinterotomia anale interna, ovvero nella sezione parziale dello sfintere interno effettuata in anestesia locale e, in genere, ambulatorialmente o con ricovero di un giorno; tale intervento risolve subito sia il dolore che lo spasmo, permettendo alla ragade di guarire in poche settimane. In una recente revisione della letteratura la percentuale di recidive a 2 anni è del 3%. I disturbi della continenza, prevalentemente ai gas, associati a questo intervento, sono rari e in genere transitori. Un altro intervento possibile è l’anoplastica, da riservare a quelle ampie e croniche; consiste nell’asportazione della ragade e nella riparazione della ferita con un lembo di mucosa anale o di cute del paziente. Questo intervento è indicato soprattutto quando non c’è ipertono sfinterico, in caso di chirurgia anale precedente, ed in presenza di lesioni cutanee associate (voluminosa marisca sentinella e polipo anale prolassante).

C’è correlazione con il cancro?

Non esiste alcuna correlazione tra cancro e ragade anale. Il cancro dell’ano, patologia rara ma in aumento, può avere sintomi simili a quelli della ragade. Indispensabile pertanto la visita di uno specialista coloproctologo per confermare il sospetto diagnostico ed impostare la corretta cura.

  1. Dodi G; Infantino A; Scalco G; Sperti G; Fiore D; Biondetti P; Negrin P; Fardin P; Lise M. La sfinterotomia interna come trattamento ambulatoriale della ragade anale. Chir Triveneta 1981; 21(1/2): 1-4.
  2. Dodi G; Spatari V; Moretti R; Infantino A; Pucciarelli S. L’uso della dilatazione anale nella terapia conservativa della ragade. Chir Triveneta 1983; 23(2): 570-2
  3. Dodi G; Pianon P; Infantino A; Zaffin M; Pirone E; Lise M. La ragade anale. Riv It Colon-Proct 1986; 5(1): 47-55.
  4. Interisano A; Arcanà F; Biasioli G; Bottini C; Caldari M; Corno F; Ferrara A; Infantino A; et Al. Il trattamento chirurgico della ragade anale. Risultati di uno studio prospettico multicentrico. UCP News – Tech Coloproct 1994; 2: 7-10.

Emorroidi

Emorroidi 1759 1757 Dr. Aldo Infantino

Che cosa sono le emorroidi?

Sono dei cuscinetti vascolari, prevalentemente a sangue venoso; servono per:
1. “accompagnare” le feci all’esterno riducendo il trauma anale
2. completare il complesso sistema della continenza fecale.
Si parla di malattia emorroidaria solo in presenza di sintomi. Nei paesi occidentali è la più diffusa causa di sofferenza della regione anorettale. Più del 50% della popolazione adulta occidentale soffre o ha avuto episodi di patologia emorroidaria. Molti soggetti lasciano trascorrere molto tempo prima di chiedere delle cure e questo può nascondere altre più gravi malattie che si presentano con sintomi simili.

Cos’è la malattia emorroidaria?

Erroneamente descritta come “varici dell’ano”, le emorroidi patologiche sono dei corpi cavernosi di volume aumentato contenenti sangue venoso ed arterioso, che possono protrudere dall’ano. A seconda del plesso da cui traggono origine possono essere suddivise in emorroidi interne ed esterne. Le emorroidi interne aumentano di volume dentro l’ano (I grado), e danno segno di sé in genere solo durante il passaggio delle feci, con dolore, sanguinamento e prurito; possono prolassare all’esterno dell’ano e rientrare spontaneamente subito dopo la defecazione (II grado) o con l’aiuto delle dita (III grado); possono essere molto dolorose quando non si riesce a riposizionarle dentro l’ano. Infine le emorroidi esterne (IV grado) non rientrano nell’ano e possono svilupparsi al margine dell’ano; sono molto dolorose quando sono sotto tensione, più frequentemente delle interne possono complicarsi con la formazione di coaguli nel loro interno (trombosi emorroidaria).

Cause della malattia emorroidaria

Non esiste una sola causa. Si sviluppano più con: l’aumentare dell’età, le eccessive spinte per evacuare le feci, la lunga permanenza sulla tazza del bagno, le feci molto dure o irritanti quali quelle diarroiche, la gravidanza, l’obesità, i fattori ereditari. Alcuni studi hanno dimostrato che anche la depressione è associata ad un maggiore rischio di emorroidi, così come l’assenza di una passeggiata regolare.

I sintomi

Come già accennato, se si ha qualcuno di questi sintomi è possibile che si tratti di Patologia emorroidaria:
1. sanguinamento alla defecazione o a fine defecazione con sangue rosso vivo
2. prolasso che può rientrare più o meno facilmente
3. prurito spesso accompagnato da senso di ano umido
4. dolore, in genere tipo bruciore
5. nodulo/i esterno/i dolente/i, a volte ad insorgenza in poche ore.

Come si fa diagnosi?

All’esterno possono esser viste solo le emorroidi nello stadio più avanzato, le non riducibili all’interno dell’ano -IV grado-, oppure quelle riducibili con accompagnamento con la mano -III grado-; e ancora possono essere viste le complicazioni della malattia emorroidaria, come la trombosi. È solo l’anoscopia che permette di porre diagnosi certa e di individuare o escludere altre malattie proctologiche molto spesso associate.

Emorroidi in Gravidanza

Le emorroidi sono un problema frequente in gravidanza: ne sono affette fino al 30% delle puerpere.
Durante la gravidanza vi sono alcune situazioni di modifica dell’organismo femminile. L’aumento di volume dell’utero crea:

– la compressione dei vasi del pavimento pelvico, diminuisce il ritorno venoso e favorisce una stasi venosa;

– una pressione sull’intestino favorisce la comparsa di stipsi;

– le modificazioni dell’assetto ormonale con progressivo aumento degli estrogeni e soprattutto del progesterone, predispongono ad un generale rilassamento connettivale.

Per l’aumento di volume dell’utero la pressione addominale aumenta a mano a mano che si avvicina il momento del parto: dal quinto mese di gestazione prevalgono infatti fattori di natura meccanica e comportamentale per la generale tendenza a ridurre l’attività fisica.
La stasi del sangue venoso, unitamente alla debolezza vascolare, facilita l’insorgenza di eccessive dilatazioni vasali, responsabili a livello anale del rigonfiamento e del prolasso delle emorroidi.

C’è correlazione con il cancro?

Non c’è alcuna correlazione. Tuttavia molti di questi sintomi possono essere presenti anche alla presenza di un cancro del retto o dell’ano. Ciò rende indispensabile una visita coloproctologica. Ogni trattamento effettuato senza una visita specialistica può essere causa di un inammissibile ritardo per una corretta diagnosi e un’adeguata terapia.

Quali sono i trattamenti?

È la più frequente patologia anale e pertanto centinaia di trattamenti medici sono stati proposti per alleviarne i sintomi; tuttavia la corretta indicazione e la loro efficacia rimane fonte di controversie.

Seguendo i concetti di “narrative review” e delle ultime linee guida, possiamo affermare che negli stadi iniziali -I/II grado- il trattamento medico va diretto verso la possibile causa:
1. se stipsi aumento dell’assunzione di fibre vegetali ed uso di lassativi formanti massa per ottenere feci più soffici;
2. correzione della diarrea, se presente;
3. corretta defecazione tendente ad evitare di spingere molto o a lungo, e di trascorrere molto tempo seduti sulla tazza del water;
4. bidè con acqua tiepida per ridurre spasmo e dolore

  1. creme per uso topico e farmaci flebotonici

Quando si è di fronte a stadi più avanzati –III/IV grado- vi è indicazione ad un trattamento chirurgico più o meno aggressivo, in associazione alla terapia medica già descritta. In casi molto selezionati e/o in caso di controindicazioni generali si potrà proporre un trattamento ambulatoriale solo a scopo palliativo.

In caso di crisi acute, per lo più da trombosi emorroidaria, questi presidi possono essere di aiuto, assieme all’uso di analgesici, e nel giro di 7-14 gg circa la crisi dolorosa si risolve, mentre occorre più tempo perché le tumefazioni si riassorbano.

Se il dolore intenso non si attenua, si potrà effettuare ambulatoriamente una piccola incisione in anestesia locale per asportare il/i coagulo/i; dopo le 72 ore circa dalla sua insorgenza tale intervento non potrà essere praticato per l’avvio dell’attività di degradazione da parte dell’organismo. Se ci si trova di fronte a quadri molto estesi di trombosi può essere necessaria l‘asportazione chirurgica in regime di ricovero.

I trattamenti chirurgici consistono:

La Legatura Elastica

E’ una tecnica introdotta dal dr Barron, e consiste nella legatura di una o più emorroidi all’interno del canale anale in una zona virtualmente priva di terminazioni dolorifiche. Anche per tale motivo la legatura elastica delle emorroidi è la più diffusa tecnica parachirurgica ambulatoriale nel mondo. La parte legata con l’elastico rimane priva di sangue e cade tra la 7^ e la 14^ giornata. E’ dimostrato che il numero di legature elastiche effettuato per singola seduta è proporzionale all’insorgenza di dolore anale. Infatti dopo due o tre legature di emorroidi di secondo o terzo grado in un’unica seduta fino al 46% dei pazienti può lamentare un dolore anale lieve o moderato per le 24 ore successive;  solo l’1% può lamentare un dolore severo da richiedere l’uso di analgesici. Tuttavia ad un anno di follow-up il 90% dei pazienti risulta asintomatico; in particolare senza alcun tipo di dolore severo o moderato. Risulta indicata in pazienti affetti da emorroidi di I e II grado. In taluni casi (pazienti anziani ad alto rischio chirurgico etc.) può essere proposta anche in emorroidi di III grado. Tra due sedute è preferibile un intervallo di almeno 20 gg.

Dopo il trattamento potrà essere assunto del Paracetamolo in caso di dolore. Utile mantenere le feci morbide, quindi dieta iperscorica (frutta, verdura etc.) e ricca di liquidi (circa 1,5-2 lt di acqua al dì); lassativi di massa; ed ancora sedute brevi e non ponzare durante l’evacuazione. Inoltre non utilizzare alcunchè attraverso l’ano per evitare traumi alla zona operata. L’elastico rimane in sede per 7-14 giorni e, generalmente, la sua espulsione non viene rilevata dal paziente se non per una lieve perdita di sangue che non deve spaventare.

La Sclerosi emorroidaria

Ancora nelle emorroidi in stadio iniziale si può ottenere la chiusura delle emorroidi con iniezione transanale di sostanze sclerosanti; le frequenti sono fenolo in olio vegetale al 5%: è la tecnica più sperimentata introdotta a fine ‘800, ma con concentrazioni che nel tempo si sono ridotte all’attuale 5%.

Più recente è l’introduzione molto promettente del Polidocanolo diretta o in forma di schiuma.

Legatura elastica e sclerosi vengono frequentemente associate.

Le possibili, seppur molto rare, complicanze sono:

  • disturbi della minzione (difficoltà ad urinare, necessità di urinare spesso etc.) per una contrattura dei muscoli del pavimento pelvico; è temporanea;
  • trombosi emorroidaria (comparsa di tumefazione anale bluastra e dolente), per spasmo muscolare e/o per blocco del deflusso venoso;
  • infezione pelvica con comparsa di febbre elevata per una reazione locale da passaggio di germi nella ferita, germi di cui le feci sono molto ricche;
  • emorragia (circa il 2%) di solito legata alla caduta dell’escara (7-14 gg dopo la legatura).

Se si accusano tali sintomi (in particolare la febbre) è consigliabile prendere contatti urgenti con il proprio specialista o recarsi al Pronto Soccorso.

Il trattamento di solito richiede 2-3 sedute ed i risultati attesi sono molto soddisfacenti nel 70-80% dei casi. Una recidiva è attesa fino al 30% dei pazienti e, nelle fasi iniziali può essere risolta ancora in modo mininvasivo ambulatorialmente. Solo in caso di fallimento nella riduzione dei disturbi si passerà ad un trattamento chirurgico in regime di ricovero.

L’emorroidectomia

E’ il trattamento riservato al III-IV grado ed ai casi che non possono essere trattati ambulatorialmente con le tecniche precedenti, o nei casi in cui non si è riusciti ad ottenere un risultato soddisfacente per il paziente. Esistono molte tecniche che hanno in comune la rimozione delle emorroidi. Necessitano in genere di un breve ricovero (spesso in regime ambulatoriale o di day-surgery) e si effettuano in anestesia. Sono disponibili diversi protocolli per il controllo dei disagi e del dolore postoperatorio. Tecniche che utilizzano il bisturi Laser non danno una riduzione del dolore rispetto a quelle più tradizionali. L’utilizzo di nuovi strumenti di coagulazione in radiofrequenza e ad ultrasuoni introdotti per alleviare il dolore postoperatorio ma non tutti i lavori scientifici ne hanno dimostrato un miglioramento statisticamente significativo.
La mucoprolassectomia con suturatrice meccanica viene utilizzata con sufficiente consenso della letteratura nelle emorroidi di III grado, mentre negli altri gradi vi è ancora discussione tra gli esperti. Si effettua in regime di ricovero e generalmente in anestesia spinale. I risultati a breve termine sono buoni ma il tasso di recidive risulta elevato. Le complicanze, pur infrequenti, sono a volte persistenti nel tempo e difficili da trattare.

La legatura dei rami terminali dell’arteria emorroidaria (THD, …) superiore individuati con l’utilizzo intraoperatorio di un sistema doppler con contestuale sospensione interna delle emorroidi. Si effettua prevalentemente nelle emorroidi di III grado sebbene lavori scientifici abbiano descritto questa tecnica anche per gli altri gradi. Il trattamento è eseguito in day hospital, in anestesia locale con sedazione, in blocco del n pudendo posteriore o in anestesia spinale; circa l’80% dei pazienti non ha necessità di analgesici maggiori subito dopo l’intervento, e le complicazioni segnalate sono minime nel numero, nella gravità e nella durata; solo una piccolissima percentuale di pazienti ha bisogno di nuovi trattamenti per recidiva.
Altro: La crioterapia è dolorosa rispetto agli altri trattamenti ambulatoriali ed ha un altissimo tasso di recidive se eseguita con protossido d’azoto (-89°) ma non con azoto liquido (-180°) che tuttavia è molto più pericoloso per gli sfinteri. La folgorazione diretta ed il BICAP, non godono la preferenza dei maggiori centri internazionali di colonproctologia. Nuove tecniche introdotte sono ancora in fase di validazione.

Appurate le cause del problema emorroidario, la terapia, com’è logico immaginare, varia in relazione all’entità del disturbo. Emorroidi di recente insorgenza, fastidiose ma non particolarmente dolorose, trovano immediato beneficio e sollievo dalla semplice terapia comportamentale.

Le principali azioni da mettere in atto:
✔ aumentare il movimento fisico il quale stimola la motilità intestinale e favorisce il ritorno del sangue venoso al cuore; l’esercizio ideale è passeggiare, mentre sono da evitare sforzi importanti e violenti;
✔ aumentare l’introito di fibre e liquidi nella dieta, per ottenere feci più soffici ed abbondanti, ed evitare lo sforzo con la defecazione ed il protrudere e il sanguinare delle emorroidi;
✔ bidet con acqua tiepida e detergenti osmotici è molto importante, poiché accelera la guarigione ed allontana il rischio di infezione;
✔ integratori in grado di rinforzare le pareti dei vasi e ridurre l’infiammazione come ippocastano, altea, malva, frutti di bosco, mirtillo ed oligomeri procianidolici;

✔ pomate ad azione decongestionante, anestetica e/o disinfettante, rappresentano infine i rimedi “conservativi”, spesso con fitoterapici o acido ialuronico, utili per curare le emorroidi in stadio iniziale ed alleviarne i sintomi.

 

Da evitare

  • i lavaggi con acqua fredda o gelida: si ha una contrazione della muscolatura anale che potrebbe causare lo strozzamento dei noduli emorroidali.
  • l’utilizzo dei cortisonici.
  1. Infantino, R Bellomo, DF Altomare, PP Dal Monte, C Tagariello, L Spazzafumo, G Romano. Transanal terminal Haemorrhoidal Doppler Ligation (THAEL) is an effective cure for II and III degree haemorrhoids : prospective, multicentric study. Colorect Dis 2008; 10(supplement2):55.
  2. Infantino A, Bellomo R, Dal Monte PP, Salafia C, Tagariello C, Tonizzo CA, Spazzafumo L, Romano G, Altomare DF. Transanal Haemorrhoidal Artery Echodoppler Ligation and anopexy (THD) is effective for II and III degree haemorrhoids: a prospective multicentric study. Colorectal Dis. 2009 Apr 15.
  3. Infantino. Transanal haemorrhoidal artery echodoppler ligation and anopexy (THD) is effective for II and III degree haemorrhoids. A prospective multicentre study. Letter. Colorectal Disease 2010; 12(12): 1274.
  4. Infantino A, Altomare DF, Bottini C, Bonanno M, Mancini S; the THD group of the SICCR (Italian Society of Colorectal Surgery) (T. Yalti, P. Giamundo, J. Hoch, A. El Gaddal, C. Pagano). Prospective randomised multicenter study comparing Stapler Haemorrhoidopexy (SH) with doppler guided Transanal Haemorrhoid Dearterialization (THD) for III degree haemorrhoids. Colorectal Dis. 2012 Feb;14(2):205-11
  5. Corrado Rosario Asteria, Andrea Lauretta, +4 authors Aldo Infantino. Does anaesthesia change severity of haemorrhoidal disease? A prospective and multicentre case-control study on haemorrhoidal disease assessment in two different settings: outpatient and operating… Int J Colorectal Dis. 2016 Aug;31(8):1529-31.

Fistola Anale o Perianale

Fistola Anale o Perianale 1759 1757 Dr. Aldo Infantino

Che cos’è?

La fistola anale è un piccolo canale anomalo del canale anale, variabile nel decorso, e con un orifizio accertato. Origina dalle cripte del Morgagni, e in questo senso viene denominata anche fistola criptogenetica e rappresenta la quasi totalità delle fistole perianali, facendo si che nel linguaggio comune e nelle pubblicazioni scientifiche esse siano diventate sinonimi. La comunicazione con il lume anale o con la cute può non essere evidente nelle fistole a fondo cieco (fistole cieche interne o cieche esterne. Si possono presentare uno o più tragitti ramificati e più orifizi sia interni sia esterni. In particolare la fistola anale è a ferro di cavallo quando un tramite accessorio è controlaterale al tragitto fistoloso che si ritiene principale.

Classificazione

Secondo la classificazione di A.Parks (1976) si distinguono 5 tipi di fistole anali: 1) Extra-sfinterica, quando il tramite decorra all’esterno dello sfintere esterno e penetri in alto attraversando il muscolo elevatore dell’ano nel retto; 2) Superficiale quando il tramite decorra appena al di sotto dell’epitelio del canale anale, e superficialmente ad entrambi gli sfinteri anali; 3) Transfinterica, quando il tramite attraversi le fibre muscolari sfinteriali striate, attraversando di solito perpendicolarmente entrambi gli sfinteri; 4) Inter-sfinterica, quando il tramite decorra del tutto (o quasi) nello spazio tra lo sfintere anale interno e quello esterno; 5) Sovrasfinterica quando lasci lo spazio intersfinterico dirigendosi in alto, al di sopra del puborettale e attraversi, almeno in parte, il muscolo elevatore dell’ano, per poi raggiungere la cute (l’orifizio interno della fistola può essere o meno situato cranialmente al giunto anorettale). La regola di Goodsall, o legge di Goodsall – Salmon, è utile per dedurre con buona approssimazione la direzione del tragitto fistoloso in base alla sede dell’orifizio esterno di una fistola anale; comprende in realtà le 3 proposizioni seguenti: 1) gli orifizi esterni localizzati nel quadrante perianale anteriore (cioè ‘sopra l’equatore’ dato da un piano orizzontale passante per l’ano) corrispondono, di solito, a un tragitto fistoloso diretto; 2) gli orifizi esterni localizzati nel quadrante posteriore prevedono un tragitto fistoloso curvilineo, a convessità posteriore, con orifizio interno localizzato posteriormente, spesso sulla linea mediana; 3) gli orifizi esterni anteriori ma localizzati a più di 3 cm di distanza dal margine anale, devono far sospettare e ricercare un tragitto fistoloso con orifizio interno posto al polo posteriore.

Diagnosi

Anche alla visita accurata con eventuale specillazione, spesso il tragitto della fistola non è chiaro, così come la quantità di sfintere sottostante alla fistola. Un maggiore chiarimento viene fornito dall’ecografia transanale, esame indolore che individua anche l’orifizio interno anche se chiuso, meglio se con l’utilizzo di mezzo di contrasto e la ricostruzione 3D in rendering. La Risonanza Magnetica, meno pratica e più costosa, può descrivere il decorso dei tragitti fistolosi. Tuttavia entrambi gli esami danno solo sei segni indiretti utili a distinguere una fistola attiva da una cicatrice, esito della guarigione della stessa.

C’è relazione con il cancro?

E’ importante escludere le fistole secondarie a malattie infiammatorie croniche intestinali, e i rarissimi casi di adenocarcinoma, per alcuni Autori indotti dalla cronica infiammazione, e di carcinoma squamoso. Molto spesso la diagnosi giunge dall’esame istologico post-operatorio.

Terapia

Il trattamento è semplice per le fistole transfinteriche basse, ovvero per quelle che abbracciano pochissimo sfintere; consiste nella fistolotomia. Le fistole transfinteriche medie ed alte, nonché quelle a ferro di cavallo e le sovrasfinteriche hanno bisogno di più interventi, nel tentativo di non sezionare quote di sfintere che porterebbero all’incontinenza anale. Le fistole anteriori, soprattutto nella popolazione femminile, risultano più rischiose per la continenza per il ridotto spessore sfinteriale in tale sede. Il primo tempo consiste nel posizionare un filo (setone) utile a drenare la fistola ed evitare la formazione di nuovi episodi ascessuali. Dopo un intervallo da settimane a mesi si procederà ad una rivalutazione con programmazione, se possibile, del secondo tempo chirurgico.

Può essere utilizzata la tecnica del “lembo di avanzamento” in cui, senza sezionare il muscolo, dopo aver asportato il focolaio interno di origine della fistola, si provvede a ricoprire l’area con un lembo rettale o con un lembo cutaneo dell’area perianale.

La grande maggioranza degli operati per fistola mantiene una perfetta continenza: solo nell’8-11% dei pazienti il trattamento chirurgico delle fistole complesse può comportare incontinenza prevalentemente ai gas ed alle feci liquide. Il danno alla continenza è dato dalla complessità della fistola, da quanto l’infiammazione ha eroso gli sfinteri, dal numero e dal tipo d’interventi, e dall’esperienza del chirurgo.

Tecniche conservative sono:

 

INIEZIONE DI COLLA DI FIBRINA NEL TRAMITE FISTOLOSO
Tale tecnica utilizza l’attivazione della trombina per formare un coagulo di fibrina che chiude meccanicamente il tramite fistoloso. Va preceduta dal posizionamento nel tramite di un “setone” che deve essere mantenuto in sede per almeno due mesi e rimosso prima dell’iniezione della colla di fibrina. La guarigione si ottiene in meno del 40% dei casi. Risultati simili si ottengono dopo l’iniezione nella fistola di collageno in pasta o di cianoacrilato. In caso di insuccesso non vengono pregiudicati successivi approcci chirurgici.

 

INSERIMENTO DI UN “COLLAGENE BIOASSORBIBILE “ NEL TRAMITE FISTOLOSO
Il “tappo “ (in inglese “plug”) utilizzato negli studi più recenti è costituito da collageno porcino. Non si comporta da corpo estraneo: viene adattato e modellato dal chirurgo secondo le caratteristiche del tramite fistoloso e gradualmente colonizzato dalle cellule dell’organismo. I risultati favorevoli, a seconda delle casistiche, non superano il 40% dei casi trattati.

 

“LIFT” (LIGATION OF INTERSPHINCTERIC FISTULA TRACT)
Si effettua l’apertura chirurgica dello spazio intersfinterico, il reperimento della fistola che viene sezionata e separata.
Questa tecnica, estremamente economica, ha dimostrato risultati variabili in relazione al tipo di fistola, e all’assenza di altri tragitti associati.

 

“VAAFT” (Video Assisted Anal Fistula Treatment)
Si utilizza un “fistuloscopio” per entrare nella fistola, allo scopo di individuare ogni tragitto fino all’orifizio interno; si procede alla sutura di quest’ultimo e alla cauterizzazione sotto vista di tutta fistola.

Le casistiche presentate a tutt’oggi forniscono percentuali variabili di successo.

 

“FiLaC” (Fistula Laser Cosure)
La tecnica FiLaC utilizza una fibra ottica ed un generatore laser a diodi per provocare la sterilizzazione e denaturazione dei tessuti del tramite fistoloso inducendone la chiusura.
L’energia sprigionata da questo laser ha una limitata penetrazione laterale e non danneggia i tessuti circostanti. Il trattamento ha il vantaggio di essere eseguito in anestesia locale, di essere rapido, con complicazioni modeste e rare, e di non danneggiare gli sfinteri, anche se la guarigione si ottiene in circa il 50% dei casi.

Sono in corso ricerche per l’impiego di cellule staminali ottenute dal tessuto adiposo per liposuzione, o selezionate da colture in ceppi unici e quantità standardizzate.

 

Sarà lo specialista colorettale a consigliare di volta in volta il trattamento più adeguato in funzione del sesso, della gravità, del numero di interventi effettuati, della qualità della continenza anale, del quadro ecografico; consci che non vi è mai il rischio zero per la continenza e che a volte la fistola può durare anni. E’ eccezionale ma possibile nei casi più severi il ricorso ad una colostomia, quasi sempre temporanea, per evitare il passaggio delle feci dall’ano.

  1. Giuseppe Giuliani, Federico Guerra, +5 authors Aldo Infantino, F La Torre. Repair of transperineal recto-urethral fistula using a fibrin sealant haemostatic patch. Colorectal disease 2016 (First Publication: 1 November 2016)
  2. Andrea Lauretta, Nicola Falco, Erica Stocco, Rinaldo Bellomo, Aldo Infantino. Anal Fistula Laser Closure: the length of fistula is the Achilles’ heel. Tech Coloproctol 2018 Dec;22(12):933-939

Cisti / Fistola Pilonidale (SINUS PILONIDALIS)

Cisti / Fistola Pilonidale (SINUS PILONIDALIS) 1759 1757 Dr. Aldo Infantino

Di cosa si tratta?

La cisti pilonidale fu descritta scientificamente per la prima volta da Herbert Mayo nel 1833 si intende una formazione cistica contenente spesso peli (pili nidus). E’ conosciuto anche come cisti sacro-coccigea. Non va assolutamente confuso con le fistole anali. E’ rara in soggetti più giovani di 12 anni e più anziani di 40 anni. Inoltre, è rara tra le popolazioni Cinesi, Giapponesi ed, in genere, dell’Estremo Oriente Asiatico, probabilmente in virtù di un minore quantitativo di peli, mentre è comune tra le popolazioni Indiane, Pakistane, Bengalesi e Singalesi. E’ descritta anche in altre sedi del corpo come lo scroto, l’ombelico, etc. (https://www.siccr.org/informazioni-generali/sinus-pilonidalis/ ).

Come si sviluppa?

Secondo alcune teorie sembra che la malattia pilonidale sia determinata da un incistamento dei peli della piega interglutea, fenomeno che spiegherebbe perché spesso il sinus pilonidalis si riformi anche dopo essere stato completamente asportato chirurgicamente. Queste cisti, sottoposte a microtraumi continui, possono infiammarsi fino alla formazione di un ascesso. L’apertura spontanea dell’ascesso crea uno o più tragitti, detto fistole, verso la cute.

Quali sono i sintomi?

La malattia pilonidale può manifestarsi in 3 modi:

1) si apprezza una piccola tumefazione poco dolente del solco intergluteo che può accompagnarsi a uno o più orifizi cutanei contigui dai quali possono affiorare ciuffi di peli.

2) dolore da ascessualizzazione dovuta all’infezione della cisti con formazione di pus; arrossamento della cute sovrastante e vi può essere la secrezione di pus per l’apertura spontanea dell’ascesso.

3) fistola pilonidale: può residuare all’ascesso sia dopo l’apertura spontanea, sia dopo l’incisione chirugica. E’ un breve canale che mette in comunicazione la cavità cistica ascessualizzata con l’esterno attraverso uno o più orifizi situati nel solco intergluteo da cui fuoriesce continuamente o a intermittenza un liquido siero-purulento giallastro.

Come fare la diagnosi?

E’ sufficiente una visita chirurgica. Infatti, la presenza di uno o più orifizi nel solco intergluteo, a volte con fuoriuscita di ciuffi di peli, associati a secrezione, la palpazione di un’area di infiltrazione sottocutanea, sono segni inequivocabili di malattia pilonidale. A completamento per stabilire l’estensione della malattia è sufficiente l’esplorazione del tramite con un sottile specillo. Nei rari casi di cisti non complicata dalla fistolizzazione l’ecografia dei tessuti molli rileverà la malattia nel tessuto sottocutaneo.

Terapia

L’iniezione nella fistola di fenolo o di colla di fibrina è stata utilizzata in casi selezionati con malattia pilonidale cronica [Olmez A, Kayaalp C, Aydin C (2013) Treatment of pilonidal disease by combination of pit excision and phenol application. Tech Coloproctol 17:201–6. Inoltre: Elsey E, Lund JN (2013) Fibrin glue in the treatment for pilonidal sinus: high patient satisfaction and rapid return to normal activities. Tech Coloproctol 17:101–4].

 

La terapia chirurgica da i risultati migliori e, data l’elevata frequenza di recidiva, le tecniche proposte sono numerose.

  • Tecniche minivasive sono interessanti perché nella maggior parte dei casi si effettuano in anestesia locale ed in regime ambulatoriale o di day hospital:
  • Intervento di Lord-Millar (1965, implica l’uso di piccoli scovolini)
    • Intervento di Bascom (1980, piccola incisione laterale ed incisioni mediali a “chicco di riso” mediante bisturi a lama piccola)
    • Intervento di Gips (2008, lieve modifica della Bascom, implica l’utilizzo dei “punch” da biopsia invece del bisturi a lama piccola)
    • Intervento di E.P.Si.T. (2014, Meinero)
    • Intervento di Carotaggio con cistectomia e fistulectomia (combina i principi e la tecnica dell’intervento di Bascom con quelli di Gips)

 

Nell’immediato post-operatorio il paziente viene invitato a restare in posizione supina per 24-48 ore (specie in caso di interventi mini-invasivi), onde giacere sulla ferita e comprimerla, in modo da minimizzare il rischio di emorragie e/o ematomi post-operatori. (https://www.siccr.org/informazioni-generali/sinus-pilonidalis/)

 

Infine l’escissione chirurgica radicale del blocco cisti/fistola senza più giungere, come un tempo, alla fascia presacrale, con chiusura della ferita possibilmente per prima intenzione, ovvero chiusura per piani della ferita chirurgica, e tentando di lateralizzare la sutura cutanea, al fine di eliminare la causa responsabile della malattia, che secondo alcuni autori è la piega interglutea.

Il trattamento delle recidive: si utilizza una chirurgia plastica con lembi cutanei, romboidale o plastica a Z o V-Y (sec Limberg, Karidakis e altri), fino a plastiche più complesse come la copertura con muscolo grande gluteo.

Complicanze precoci post-operatorie

Complicanze immediate: -il sanguinamento del letto dell’exeresi controllabile chirurgicamente.

– Il dolore nell’immediato post operatorio controllabile con analgesici.

 

Complicanze tardive

– Recidiva della cisti che richiede reintervento.

– Infezione del sito chirurgico, controllabile con medicazioni ravvicinate.

– Cicatrice ipertrofica (cheloide) non prevedibile.

Alcuni lavori scientifici sembra abbiano dimostrato che la depilazione e/o epilazione LASER del solco intergluteo e delle zone limitrofe sia importante nel ridurre la possibilità di recidiva della malattia pilonidale.

C’è correlazione con il cancro?

In letteratura vi sono descrizioni di rarissime trasformazioni in cancro della malattia pilonidale.

Bibliografia

American Society of Colon & Rectal Surgeons (ASCRS) Guidelines (2013) [Steele SR, Perry BW, Mills S, Buie WD. “Practice parameters for the management of PD”. Dis Colon Rectum 2013; 56: 1021–7].
“Società Italiana di Chirurgia ColoRettale” (SICCR) Guidelines (2015) [Segre D, Pozzo M, Perinotti R, Roche B. “The treatment of PD: guidelines of the Italian Society of Colorectal Surgery”. Tech Coloproctol, 2015; 19: 607–13]

Polipi Anali

Polipi Anali 1759 1757 Dr. Aldo Infantino

Cosa sono?

Il polipo dell’ano è una formazione si sviluppa in canale anale e progressivamente tende a uscire (prolassare) dall’ano solo nel corso della defecazione o rimanere stabilmente all’esterno dell’ano. Il più frequente è costituito da una papilla che irritata cronicamente da ragade o da emorroidi si accresce; meno frequente è costituito da tessuto ghiandolare, di solito a carico dell’ultima parte del retto. Ancora più raramente sono stati riscontrati dei melanomi, difficili da sospettare prima perché a volte amelanotici, in altre parole privi della tipica colorazione.

Come si presentano?

Spesso è confuso dal paziente con la malattia emorroidaria, e gli vengono attribuiti i sintomi propri delle patologia che ne hanno permesso lo sviluppo: sangue, dolore, prurito…

Come si fa diagnosi?

La visita proctologica permetterà di chiarire il quadro e di fare diagnosi. Se sospetto di polipo ghiandolare si effettuerà una biopsia o l’escissione completa a secoda delle dimensioni e delle caratteristiche.

Quale trattamento?

Il trattamento è quello in primis della patologia di base; se quest’ultima richiede un trattamento conservativo, il polipo andrà escisso a guarigione avvenuta: in genere in anestesia locale con sutura emostatica alla base; in caso vi sia indicazione chirurgica della patologia di base l’asportazione del polipo sarà fatta nella stesa seduta.

Incontinenza Anale

Incontinenza Anale 1759 1757 Dr. Aldo Infantino

Cos’è?

È l’incapacità di controllare l’evacuazione fecale con conseguente perdita involontaria di feci solide, liquide o di gas (incontinenza passiva), o l’incapacità di ritardare l’evacuazione fino al momento più opportuno (urgenza defecatoria).

Mancano dati certi sull’incidenza nella popolazione, ma si calcola in circa il 2%, con circa il 10% delle persone nelle degenze per anziani; frequente la doppia incontinenza, fecale ed urinaria. E’ presente nel prolasso completo di retto fino all’80% e nel prolasso retto-anale fino al 44%. E’ sottodiagnosticata per pudore da convenzioni sociali.

Comporta riduzione dei rapporti interpersonali per frequente autoisolamento, è causa di maggiore assistenza nelle degenze per anziani, ed ha dei costi sociali elevati.

Cause

La continenza anale è frutto di un’importante convergenza di più fattori: adeguatezza degli sfinteri anali, capacità del retto ad accogliere le feci e la tipologia delle feci. Sfinteri danneggiati per traumi, per precedenti chirurgie, per lesioni da parto misconosciute, per danni neurologici; una malattia del retto o una sua irradiazione lo rende meno “compliante” e più reattivo alla presenza di seppur piccole quantità di feci; feci liquide e ricche di sali biliari; sono tutti fattori che determinano di per sé una riduzione della capacità a trattenere volontariamente il contenuto del retto.

Come si fa diagnosi?

Un’accurata visita proctologica, fornirà le prime indicazioni. E’ necessario utilizzare alcune scale internazionali che servono a quantificare il grado di incontinenza (CCIS, AMS…) nonché dell’alterazione della qualità di vita (FiQoL, SF36, …). Alcuni esami aiuteranno a definire il quadro: l’Ecografia transrettale permetterà di individuare eventuali lesioni degli sfinteri, e la Manometria anorettale da informazioni sulla funzione anale e rettale.  A seconda delle ipotesi conseguenti alla visita potrà essere indicata un’Rx defecografia nel sospetto che un prolasso interno possa generare incontinenza.

Quale trattamento?

Il trattamento sarà volto a correggere i fattori che stanno alla base dell’incontinenza; spesso è necessario associare più dei seguenti trattamenti:

  • Dieta che riduca la presenza di feci liquide;
  • Addensanti fecali (caolino, farina di carrube, gomma arabica, …), di chelanti i sali biliari (colestiramina, ….), e/o farmaci che rallentano il transito intestinale (loperamide, …);
  • Riabilitazione perineale: fisiokinesiterapia, biofeedback, stimolazione elettrica funzionale (SEF);
  • Elettrostimolazione del nervo tibiale posteriore:
  • Neuromodulazione sacrale;
  • Irrigazione transanale del retto, al fine di eliminare le feci con apparecchiature semplici da utilizzare a domicilio;
  • Irrigazione isoperistaltica (tecnica di Malone e successive modifiche);
  • Iniezioni locali di sostanze volumizzanti; o di miniprotesi (Gatekeeper®);
  • Sfinteroplastica, di tecnica diversa a seconda del tipo delle lesioni;
  • Graciloplastica elettrostimolata;
  • L’impianto di protesi idrauliche o magnetiche.
  1. Primon D; Bortoluzzi N; Infantino A; Melega E; Regonesi D; Ortolani M. La riabilitazione nella incontinenza fecale: tecniche e risultati. In “Riabilitazione colon-proctologica” a cura di Di Benedetto P; Gattinoni F; Rossitti P. Libreria Goliardica Editrice; 1996: 105-14.
  2. Infantino A. Fecal incontinence and rectal prolapse. In “Fecal Incontinence” by G Romano; ed Idelson-Gnocchi 2001, pagg 243-255
  3. Infantino A; Dodi G; Miola F; Fardin P; Vespa D; Pirone E; Zaffin M; Fabris C; Lise M. L’incontinenza fecale. Parte II. Trattamento medico e chirurgico. Risultati preliminari. Riv It Colon-Proct 1988; 7(1): 13-9.
  4. Infantino A; Lise M. Incontinenza fecale: quale approccio? Boll Ordine Medici Odont Pd 1989; 3: 13-5.
  5. Primon D; Infantino A; Botoluzzi N; Lise M. Incontinenza fecale. Aspetti fisiopatologici, psicologici e riabilitativi. Eur Med Phys 1994; 30(4): 225-31.
  6. Infantino A; Melega E; Negrin P; Masin A; Carnio S; Lise M. Striated anal sphincter electromiography in idiopathic fecal incontinence. Dis Colon Rectum 1995; 38(1): 27-31.
  7. Primon D; Infantino A; Bortoluzzi N; Lucca L; Masin A; Muzzu P; Melega E; Ortolani M. Incontinenza fecale. Aspetti fisiopatologici, psicologici e riabilitativi. Eur Med Phys 1994; 30: 225-31.
  8. Dodi G, Melega E, Masin A, Infantino A, Cavallari F, Lise M. Artificial bowel sphincter (ABS) for severe faecal incontinence: a clinical and manometric study. Colorect Dis 2000, 2: 207-211.
  9. Faussone-Pellegrini MS, Infantino A, Matini P, Masin A, Mayer B, Lise M. Neuronal anomalies and normal muscle morphology at the hypomotile ileocecocolonic region of patients affected by idiopathic chronic constipation. Histol Histopathol 1999, 14: 1119-34.
  10. Giamundo, Altomare DF, De Nardi P, D’Onofrio V, Infantino A, Pucciani F, Rinaldi M, Romano G. The ProTect device in the treatment of severe fecal incontinence: preliminary results of e multiccenter trial. Tech Proctol 2007, 11(4): 310-314.
  11. Giamundo P, Altomare D, De Nardi P, Infantino A, Rinaldi M, Pucciani F, Romano G et al. The ProTect: a revolutionary device for patients with intractable fecal incontinence. Annual Meeting: Am Soc Colon and Rectal Surgeons. Dis Colon Rectum 2007; 50(5):47.
  12. Santoro GA, Infantino A, Cancian L, Battistella G, Di Falco G.Sacral nerve stimulation for fecal incontinence related to external sphincter atrophy. Dis Colon Rectum. 2012 Jul;55(7):797-805.
  13. Nicola Falco, L. Pisegna Cerone, R. Bellomo, Aldo Infantino. Botulin toxin injection to improve the results of sphincter overlap in high grade obstetric anal sphincter injury syndrome. Tech Coloproctol. 2018 Jun;22(6):457-459

Stipsi

Stipsi 1759 1757 Dr. Aldo Infantino

Che cos’è?

La stitichezza (stipsi o costipazione) è un disturbo della defecazione consistente a svuotare in tutto o in parte l’intestino dalle feci. Vi è un criterio temporale, ovvero meno di 3 evacuazioni per settimana, e /o la presenza di altri disturbi, come l’avere feci piccole e dure, il dovere spingere molto, lo stare a lungo sulla tazza del wc, la sensazione di incompleta defecazione, lo stimolo persistente che induce a più tentativi spesso infruttuosi.

Data la difficoltà a trovare una corretta definizione, i Criteri di Roma III sono stati introdotti per la diagnosi di stipsi cronica:

  • deve presentare almeno alcune caratteristiche (ad es. sforzo, sensazione di incompleto svuotamento, meno di 3 evacuazioni a settimana, …) negli ultimi 3 mesi con un esordio da almeno 6 mesi
  • le cosiddette “feci non formate” si presentano raramente senza lassativi
  • non deve rientrare nella diagnosi di Sindrome dell’intestino irritabile

Può essere distinta in una forma secondaria ad altre patologie (meno del 5% del totale) ed una forma primitiva di cui ci occuperemo ora. Quest’ultima può essere legata ad un rallentamento del transito intestinale, con nulla o scarsa sintomatologia a parte gli intervalli tra due defecazioni; questa viene definita come inertia colica.  Un’altra è caratterizzata dai disturbi espulsivi e prende il nome di stipsi all’uscita (outlet obstruction degli AA anglosassoni). Entrambe le situazioni possono convivere –stipsi mista-, come si intuisce dalla definizione dei Criteri di Roma III.

La compilazione di alcune scale di gravità (Altomare Score, Wexner score, Constipac, …) permettono l’obiettivazione del quadro e la valutazione di risultati post-trattamento.

Causa

Nella stragrande maggioranza la stipsi, non riconoscendosi una causa nota, viene classificata Stipsi Funzionale, dove per “funzionale” perché si è di fronte ad un’alterata funzione intestinale. Sarà la visita a scoprire se vi sono cause ostruttive ratto-anali, come un rettocele, un perineo disceso, un prolasso del retto non evidente all’esterno, una incapacità dell’ano a rilassarsi in corso di spinta, e così via.

Come si fa diagnosi?

La visita proctologica dovrà escludere cause secondarie ed individuare eventuali cause locali. Se resistente al trattamento medico e igienico-riabilitativo, e con un sospetto obiettivo è indicata un’Rx cistocolpodefecografia nella donna o un rx defecografia nell’uomo; la DefecoRM evidenzia alterazioni anche fuori dagli organi cavi ma è viziata dalla posizione prona in cui viene effettuata, e non in perfetta simulazione dell’evacuazione su una comoda. L’introduzione dell’ecografia transrettale, con il completamento dell’eco transperineale e transvaginale, il sospetto di un’alterazione di più compartimenti potrà essere evidenziato e misurato. La manometria anorettale potrà dare un contributo nella diagnosi di dissinergia retto-anale o di alterazione della sensibilità rettale; meglio se completata con il test di espulsione di un palloncino standard.

C’è relazione con il cancro?

Non vi è correlazione tra le due situazioni morbose. Occorre solo escludere che una stipsi di recente insorgenza non sia legata ad un restringimento intestinale da polipo o cancro. Il sospetto dovrà indurre ad effettuare una colonscopia.

Quale trattamento?

Sono innumerevoli le soluzioni proposte, spesso con poca dimostrazione scientifica: dalle diete agli infusi, dalla psicoterapia all’applicazione di campi magnetici. La diffusa ricerca di prodotti definiti “naturali” non trova alcuna giustificazione rispetto ai prodotti presenti in farmacia, al contrario dei primi questi sono stati sottoposti a severe prove di tollerabilità, di definizione della dose giusta, di serietà della tecnica farmaceutica con cui sono stati preparati. Proviamo a fare ordine:

  • Terapia Medica:
    • Aumento di fibre nella dieta, così come dell’acqua ingerita: se l’organismo ha bisogno di acqua ne assorbe di più con disidratazione delle feci;
    • Utilizzo di fibre (glucomannani, psyllium, a molte altre….) trattenendo l’acqua creano feci più morbide e di maggior volume;
    • Il macrogol (3350-4000) richiama acqua nel lume intestinale e risolve spesso stipsi da “blocchi” temporanei;
    • I lassativi irritanti (picosolfato, senna, cascara, …) spesso associati ad altre sostanze nei prodotti di erboristeria sono molto efficaci, anche se non dovrebbero essere utilizzati in modo continuativo;
    • Non vi è dimostrazione che l’assunzione di probiotici (batteri vivi) e prebiotici, ovvero sostanze che ne favoriscono lo sviluppo (inulina, FOS, ..); tuttavia oggi è sempre più percorsa la strada di un miglioramento della flora batterica intestinale, anche in caso di patologie severe dell’intestino;
    • Della famiglia dei procinetici citiamo i più studiati come la Prucalopride e la Linaclotide, e successivi della stessa famiglia; agiscono in modo più intenso sulla motilità intestinale, soprattutto in caso di inertia colica, anche se la risposta non sempre è ritenuta sufficiente dal paziente;
    • Clismi, rettoclisi, idrocolonterapia vengono spesso utilizzati dal paziente per il mancato successo del trattamento orale, a volte interrotto senza un sufficiente periodo utile a ottenere un riequilibrio della flora intestinale, con riduzione del fastidioso gonfiore addominale; ma anche queste procedure risultano insoddisfacenti; da qui l’introduzione dell’irrigazione transanale (TAI) con sofisticati sistemi a pressione positiva controllata, in grado di vuotare l’ultima parte del grosso intestino;
    • In caso di dissinergia retto-anale è utile la riabilitazione perineale: fisiokinesiterapia, biofeedback, stimolazione elettrica funzionale (SEF).

 

  • Terapia Chirurgica

Il trattamento è indicato in presenza di un’alterazione anatomica (prolasso rettale interno e/o rettocele) ed in assenza di un soddisfacente miglioramento dalla terapia medica.

Esso consisterà in una rettopessi o colporettopessi videolaparoscopica, o in una riparazione per via transanale. Nell’esperienza personale (dati non pubblicati) un intervento commisurato alla causa di defecazione ostruita e adeguato al paziente giunge ad una soddisfazione superiore al 75% su una casistica di oltre 500 interventi.

Stipsi e gravidanza

Durante la gravidanza si può presentare una stipsi in donne che non ne soffrivano e nel puerperio tutto si può normalizzare o la stipsi può persistere.

Il progesterone, ormone pro-gestazione, rallenta molte attività dell’organismo, ed anche la propulsione intestinale, con peggioramento nel terzo trimestre di gravidanza. In questa fase si ha inoltre un aumento volumetrico dell’utero ed una riduzione dell’attività fisica, fattori che peggiorano la stipsi. Estrogeno e progesterone, la riduzione dell’attività metabolica e le modifiche del sistema immunitario cambiano la popolazione batterica intestinale; alcuni batteri sono stati associati a patologie intestinali durante la gravidanza, tra cui la stipsi.

Cosa fare?

E’ utile seguire una dieta ricca di fibre ed acqua, mantenere un’attività fisica quotidiana fino al parto. Laddove non fosse sufficiente, è consigliato l’uso del polietilenglicole 3350-4000 perché non è teratogeno, ovvero non influenza lo sviluppo fetale, e si assorbe in una quantità variabile tra 1 e 4% senza produrre metaboliti, ovvero non viene metabolizzato né biotrasformato

  1. Infantino A; Masin A; Melega E; Zaffin M; Pianon P; Fabris C; Lise M. Inquadramento diagnostico ed indicazioni chirurgiche nella stipsi cronica severa. Acta Chir It 1990; 46(4): 410-5..
  2. Infantino A; Masin A; Pianon P; Dodi G; Del Favero G; Pomerri F; Lise M. Role of proctography in severe constipation. Dis Colon Rectum 1990; 33(8): 707-12.
  3. Infantino A; Masin A; Melega E; Zaffin M; Pianon P; Fabris C; Lise M. Inquadramento diagnostico ed indicazioni chirurgiche nella stipsi cronica severa. Acta Chir It 1990; 46(4): 410-5.
  4. Infantino A; Masin A; Pianon P; Dodi G; Del Favero G; Pomerri F; Lise M. Role of proctography in severe constipation. Dis Colon Rectum 1990; 33(8): 707-12.
  5. Martin A; Mastropaolo G; Infantino A. Attualità sulla terapia della stipsi. Jama, Ed Italiana 1991;3: 184.
  6. Martin A; Mastropaolo G; Infantino A. Attualità sulla terapia della stipsi. Stampa Medica 1991; 505: 77.
  7. Infantino A; Masin A; Melega E; Cisternino A; Artibani W; Negrin P; Lise M. Bladder and urethral problems in altered continence or defecation. A prospective study. XXIX Congresso Naz SIGE, Padova 11-15/12/1993; Abstracts. It J Gastroenterol 1993; 25(9-S1); 101-2.
  8. Faussone-Pellegrini MS, Infantino A, Matini P, Masin A, Mayer B, Lise M. Neuronal anomalies and normal muscle morphology at the hypomotile ileocecocolonic region of patients affected by idiopathic chronic constipation. Histol Histopathol 1999, 14: 1119-34.

Prolasso rettale e Intussuscezione rettale

Prolasso rettale e Intussuscezione rettale 1759 1757 Dr. Aldo Infantino

Che cosa sono?

Il prolasso rettale è la fuoriuscita del retto a tutto spessore e circonferenzialmente dall’ano, mentre nell’intussuscezione il retto si invagina dentro il suo lume a volte fino all’ano, senza tuttavia fuoriuscita all’esterno. Il prolasso è associato alle disfunzioni del pavimento pelvico con interessamento di altri organi pelvici (utero e/o pareti vaginali e cupola, vescica, intestino), con disfunzioni urinarie, della defecazione (stipsi, incontinenza) e sessuali. Circa il 10-20% si rivolge a strutture sanitarie a causa dei sintomi. Si tratta infatti di condizioni spesso debilitanti che portano alla chirurgia 1 donna su 9.

Perché si formano?

Circa il 50% delle donne che hanno partorito perdono il sostegno del pavimento pelvico sviluppando un prolasso, fortunatamente non sempre sintomatico. Le disfunzioni del pavimento pelvico possono manifestarsi in seguito a lesioni e deterioramento dei muscoli, nervi e tessuto connettivo. Per tale motivo negli ultimi anni si è sviluppata una visione d’insieme che non prevede più la gestione del pavimento pelvico a compartimenti stagni in cui l’urologo, il ginecologo e il chirurgo colo-rettale agiscono separatamente, ma una visione “integrata” in cui gli interessati hanno conoscenze interdisciplinari. Difetti isolati, come il prolasso rettale, sono infatti infrequenti, intussuscezione e rettocele spesso coesistono. La presenza concomitante di intussuscezione retto-anale o di prolasso rettale è stata documentata in donne affette da prolasso urogenitale con una frequenza rispettivamente del 55% e del 38%.

Quale terapia?

Per il trattamento medico della stipsi e dell’incontinenza fecale si fa riferimento ai rispettivi capitoli. Anche dopo intervento di riparazione le indicazioni igienico-dietetiche devono essere seguite.

Al trattamento chirurgico si fa ricorso in caso di prolasso completo del retto, mentre per l’intussuscezione solo se il trattamento conservativo non ha dato risultati soddisfacenti. La prima suddivisione va fatta in base all’accesso, transanale o addominale. Nella scelta si terrà conto che la via addominale è in grado di correggere difetti anche del compartimento centrale (rettocele, enterocele, prolasso della cupola vaginale) e garantisce un minore numero di recidive rispetto alla via transanale; quest’ultima, tuttavia può evitare l’anestesia generale nei casi in cui essa sia controindicata.

  • Sono effettuati per via transanale: Altemeier, Delorme, Block. La scelta è posta in funzione alla dimensione del prolasso esterno o del grado dell’intussuscezione, lasciando alla Block i prolassi interni di minore entità con rettocele.
  • Per via addominale oggi, tra le centinaia di tecniche proposte, si preferisce la rettopessi (o rettocolpopessi) ventrale, da noi modificata in rettocolpopessi ventrale bassa, che consiste in una sintesi con Orr-Loygue monolaterale, con cui abbiamo esperienza dal 2004 con circa 400 casi personalmente operati.

Capitoli di libri:

  1. Lise M; Infantino A. Surgery of the ano-rectum and pelvic floor. Patho-physiological aspects. In Caprilli R; Torsoli A “Coloproctology. Basic knowledge for clinical practice”. Editore Int University Press 1990; 207-22.
  2. Lise M; Infantino A. Chirurgia anorettale del pavimento pelvico. Aspetti patofisiologici. In Caprilli R; Torsoli A “Colonproctologia. Conoscenze di base per la pratica clinica”. Editore Int University Press 1990; 219-34.
  3. Infantino A; Masin A; Melega E; Carnio S; Lise M. Fisiopatologia della defecazione. In “Riabilitazione colon-proctologica” a cura di Di Benedetto P; Gattinoni F; Rossitti P. Libreria Goliardica Editrice; 1996: 27-30.
  4. Lucca L; Infantino A; Masin A; Primon D. La riabilitazione nella stipsi da sindrome da contrazione paradossa del m. puborettale. In “Riabilitazione colon-proctologica” a cura di Di Benedetto P; Gattinoni F; Rossitti P. Libreria Goliardica Editrice; 1996: 127-32.
  5. Umberto Favetta, Aldo Infantino. “Ecografia transanale tridimensionale”. In “Nuovo trattato di tecnica chirurgica” AE Paletto – A Gaetini, ed UTET; 2005 vol 4/2; pagg 722-3.
  6. Aldo Infantino, Roberto Bellomo, Franco Galanti, Lia Pisegna Cerone. “Current concepts in mamagement of outlet obstruction”. In: “Benign anorectal diseases” GA Santoro – G Di Falco. Springer ed. 2005, pagg 403-413.
  7. Aldo Infantino, Roberto Bellomo,, Domenico Del Ciampo.. Rectopexy with mesh: the Orr-Loygue technique. In “Rectal Prolapse Diagnosis and Clinical Management”. Editors Donato F. Altomare and Filippo Pucciani. Springer ed. 2007, pagg 131-137.
  8. Infantino A, Lauretta A Mesh Rectopexy (Ripstein, Orr-Loygue, Wells and Frykman-Goldberg). In Pelvic Floor Disorders: Surgical Approach. Editors A.L. Gaspari, P. Sileri. Springe-Verlag 2014 Capitolo 19, pag 181 – 187.
  9. Pirone E; Dodi G; Infantino A; Masin A; Fardin P; Lise M. La chirurgia del prolasso rettale completo. Riv It Colon-Proct 1991; 10: 189-95.

 

Artticoli su riviste scientifiche:

  1. Pirone E; Dodi G; Infantino A; Masin A; Fardin P; Lise M. La chirurgia del prolasso rettale completo. Riv It Colon-Proct 1991; 10: 189-95
  2. Infantino A; Fardin P; Pirone E; Masin A; Melega E; Cacciavillani M; Lise M. Femoral nerve damage after abdominal rectopexy. Int J Colorectal Dis 1994; 9(1): 32-4.
  3. Infantino A; Masin A; Melega E; Dodi G; Lise M. Does surgery resolve outlet obstrucions from rectocele? Int J Colorect Dis 1995; 10(2): 97-100.
  4. Pomerri F; Bressanin F; Gattolin D; Pagiaro E; Dodi G; Infantino A; Ronzon M; Muzzio PC; Lise M. Rettocele posteriore ed ernia rettale perineale: diagnosi defecografica. Riv It Colonproct 1995; 14: 77-81.
  5. Lauretta A, Bellomo RE, Galanti F, Tonizzo CA, Infantino A. Laparoscopic low ventral rectocolpopexy (LLVR) for rectal and rectogenital prolapse: surgical technique and functional results. Tech Coloproctol. 2012;16(6):477-83.
  6. Infantino A, Lauretta A. Abdominal recto(colpo)pexy for rectal prolapse: is a new era coming? Tech Coloproctol. 2013;17(4):341-2.
  7. Aldo Infantino, Andrea Lauretta. Pelvic Floor Disorders: Surgical Approach Mesh Rectopexy (Ripstein, Orr-Loygue, Wells, and Frykman-Goldberg) Springer, 2014 pp 181-187
  8. Gallo G, Martellucci J, Pellino G, Ghiselli R,Infantino A, Pucciani F, Trompetto M. Consensus Statement of the Italian Society of Colorectal Surgery (SICCR): management and treatment of complete rectal prolapse. Tech Coloproctol. 2018;22(12):919-931.

Dolore anorettale e pelvico cronico

Dolore anorettale e pelvico cronico 1759 1757 Dr. Aldo Infantino

Il dolore pelvico è un sintomo caratterizzante una molteplicità di patologie funzionali e organiche; può risultare talmente invalidante da alterare la qualità di vita personale e di relazione, con alti costi sociali. Secondo i criteri di Roma IV, il dolore pelvico viene definito cronico quando, con aspetto costante o ciclico, perdura da oltre 6 mesi e frequentemente non risponde ai comuni analgesici. Nei diversi studi sono affetti dal dolore anale, rettale o pelvico cronico dal 7% al 24% della popolazione.

Secondo una revisione sistematica del 2011, l’85% dei pazienti che si presenta dagli specialisti per dolore pelvico cronico mostra, dopo studi radiologici, colonscopia, visita chirurgica –proctologica e ginecologica-, l’assenza di una causa organica, rientrando tra le patologie funzionali. In tale definizione troviamo diverse patologie quali: la proctalgia cronica, distinta a sua volta nella sindrome dell’elevatore dell’ano e nel dolore pelvico da patologia funzionale ano-rettale non specificata, la proctalgia fugax, la coccigodinia e la sindrome del canale di Alcock.

In uno studio inglese degli anni novanta venivano riconosciute nei pazienti con dolore pelvico prevalenze pari al 6.6% per la sindrome dell’elevatore dell’ano e all’8% per la proctalgia fugax. Altre cause relativamente frequenti possono essere la cistite interstiziale e la prostatite cronica. Sebbene in modo distinto, spesso hanno in comune alcuni quadri come le difficoltà di svuotamento vescicale o defecatorio, ed alcune comorbidità come sindromi depressive e fibromialgia, scarsa qualità di vita e l’elevato utilizzo delle strutture sanitarie. Il rilevare alla visita una causa miofasciale con o senza alterazioni associate della funzione del pavimento pelvico risulta essenziale nella ricerca di un adeguato trattamento.

Tra le cause organiche, oltre a quelle del compartimento ginecologico, occorrerà ricordare che un prolasso del retto, da intussuscezione o completo, ed un enterocele possono essere causa di dolore pelvico cronico.

Anche alcuni trattamenti chirurgici posso provocare, seppur raramente, una sintomatologia dolorosa cronica. In una revisione della letteratura è stata riscontrata una proctalgia cronica difficile da trattare dopo interventi per emorroidi o prolassi del retto in cui sono state utilizzate suturatrici meccaniche; una delle ipotesi è che ciò sia generato da clips ritenute; in alcunicasi, infatti, lal loro rimozione risolve o migliora il dolore accusato. and recently a case has been described where it was due to a portion of rectal wall being sutured in the perirectal adipose tissue.

Non va infine dimenticato che vi è una simbologia con cui il nostro corpo esprime i bisogni dell’anima, dell’Es, comunica il proprio malessere; ciò è stato studiato nelle forme di fibromialgia assieme alla ricerca di un trattamento nello spazio della psicologia analitica.

Nei casi più complessi è pertanto necessario un approccio terapeutico multidisciplinare, non solo chirurgico o proctologico, che preveda anche programmi riabilitativi psicologici e comportamentali.

Tra le cause non ginecologiche e cosiddette “funzionali” troviamo:

  • La sindrome dell’elevatore dell’ano
  • La proctalgia fugace
  • La coccigodinia
  • La sindrome del nervo pudendo.

 

  • La sindrome dell’elevatore dell’ano è caratterizzata da dolore vago perineale e rettale che, pur in assenza di una causa organica dimostrabile, risulta evocabile durante l’esplorazione rettale dalla palpazione del muscolo elevatore dell’ano (sinonimi: spasmo dell’elevatore, mialgia pelvica tensiva). La base fisiopatologica di questa sindrome non è ancora del tutto chiara: alcuni autori hanno suggerito uno spasmo o un’alterazione tensiva cronica del muscolo, altri sostengono un’infiammazione del muscolo elevatore dell’ano o del proprio arco tendineo; la palpazione endoanale sinistra del m. elevatore dell’ano, laddove si inserisce all’ischio ed al pube, risulta essere punto trigger. Entrambe le tesi risultano però ancora non confermate. La ripetizione della trazione o della palpazione dell’elevatore causa il dolore. L’evocazione del dolore alla visita sembra essere un fattore predittivo della risposta clinica alla terapia che prevede il rilassamento muscolare come focus.
  • Attualmente i trattamenti più efficaci prevedono l’utilizzo di miorilassanti (es. iniezione locale di tossina botulinica), stimolazione elettrogalvanica, massaggio muscolare e biofeedback, con risultati migliori dopo biofeedback (87 % vs 45 % vs 22 % rispettivamente dopo biofeedback, stimolazione elettrica e massaggio). Va posto l’accento come in un’alta percentuale di pazienti affetti da proctalgia cronica, siano associate patologie ansioso-depressive e patologie stress-correlate, che in alcuni soggetti sono il fattore scatenante.
  • La proctalgia fugax a differenza della precedente, è caratterizzata da episodi ricorrenti di dolore tipicamente notturno, di breve durata (da pochi secondi fino a un massimo di 15-20 minuti), a rapida risoluzione completa spontanea. Il dolore non è correlato alla defecazione, con imprevedibilità nello sviluppo di un nuovo accesso doloroso. Tale sintomatologia è scatenata da diversi fattori: rapporti sessuali, stati d’ansia, alterazioni dell’alvo, periodo mestruale; non si riconosce tuttavia alcun punto trigger specifico. Il paziente durante la visita proctologica è completamente asintomatico all’esplorazione rettale.
  • Per la risoluzione possono contribuire anche solo i cambi di posizione, semicupi caldi, la flessione delle gambe. Fondamentale nella tipizzazione di questi pazienti è la corretta raccolta dell’anamnesi.
  • Nella coccigodinia il dolore è limitato al coccige e alla regione anatomica circostante (sacro, anoretto, perineo). Dati provenienti da uno studio retrospettivo identificano la coccigodinia in meno dell’1% dei pazienti con dolore pelvico posteriore. A evocare il dolore tipicamente è la posizione seduta prolungata (soprattutto su superfici dure), ma anche sollevamenti o piegamenti, rapporti sessuali o posizioni costrette per molto tempo. Tra le cause traumi al coccige o traumi da parto. Obiettivamente il trigger point del dolore si riscontra nella palpazione o nella pressione sul coccige durante la visita. Può inoltre essere presente un anomalo movimento dell’articolazione sacro coccigea. Va differenziata la natura idiopatica da forme secondarie a traumatismi. Per la diagnosi possono essere di aiuto radiogrammi standard e dinamici, TC e RMN: più del 50% dei pazienti può mostrare segni di instabilità coccigea, un altro 15 % speroni ossei anomali; RMN e TC servono ad escludere altre patologie organiche.
  • Il trattamento iniziale della patologia prevede la rimozione dei fattori scatenanti; le terapie più efficaci si basano su massaggi e manipolazioni con associate infiltrazioni locali di corticosteroidi e anestetici locali; il trattamento chirurgico consiste nella coccigectomia parziale e va riservata quasi esclusivamente alle forme secondarie a traumatismi pur con risultati non soddisfacenti nel tempo.
  • Nella sindrome del canale di Alcock il dolore è cronico; si presenta nell’area perineale, è frequentemente monolaterale, spesso accompagnato da sensazione di bruciore, intorpidimento o parestesie. Il dolore è legato al percorso del nervo pudendo; questo è a predominanza un nervo somatico che origina dalle radici S2-S4; attraversa il perineo nel canale di Alcock, dividendosi infine in tre branche (ramo perineale, ramo emorroidario inferiore, ramo clitorideo o penieno), fino a giungere al pene o al clitoride continuandosi nel nervo dorsale, mentre il ramo perineale ha una componente sensoriale e riceve stimoli dallo scroto o dalle grandi labbra, restando così coinvolto nella sensibilità del pene o del clitoride, ma non del canale anale. Nella sindrome di Alcock, sempre in assenza di patologie organiche o in assenza di possibili neuropatie secondarie che ne spieghino i sintomi (neuropatie erpetiche, neuropatie post irradiazione o in esiti di parto), il dolore caratteristico è scatenato dalla posizione seduta, frequentemente peggiora con l’andare in bicicletta ed ha le caratteristiche di un dolore urente che spesso accompagna il dolore terebrante, talvolta anche con parestesie. Il dolore terebrante tipico di questa sindrome può presentare una localizzazione a tutte le strutture anatomiche innervate somaticamente dal n. pudendo: testicolo negli uomini, grandi labbra nelle donne, sensazione di corpo estraneo, bruciore gluteo e dolore anale in entrambi i sessi. Per facilitare la diagnosi, di per sé difficile, di questa patologia, nel 2006 sono stati definiti dei criteri, detti criteri di Nantes: Il dolore è nel territorio irradiato dal nervo pudendo; 2. il dolore si accentua in posizione seduta; 3. Il dolore non fa svegliare durante la notte; 4. Il dolore non è associato a un deficit sensoriale superficiale del perineo, come avviene invece nelle vie del plesso sacrale o della cauda equina; 5. Diagnosi ex adiuvantibus dopo infiltrazione del nervo pudendo con anestetico. La negatività della risposta all’iniezione di anestetico locale, tuttavia, può essere fuorviante poiché l’iniezione potrebbe essere non sufficientemente precisa o effettuata distalmente anche quando la tecnica è TAC-guidata. Di conseguenza la diagnosi resta innanzitutto clinica, e il trattamento con il blocco del nervo risulta sia diagnostico (ex adiuvantibus) che terapeutico quando correttamente eseguito. La digitopressione della spina ischiatica scatena un dolore violento con la stessa lateralità riferita dal paziente all’anamnesi. Lo studio elettromiografico rileva una latenza prolungata al motoneurone terminale del lato coinvolto anche se il dato non è patognomonico.
    • Oltre agli analgesici, ed ai neuroprotettori, si effettua l’infiltrazione del nervo pudendo con anestetico. La decompressione chirurgica può essere l’ultima scelta di trattamento per alleviare il dolore in pazienti non responder al trattamento locale, sebbene I risultati presentati in letteratura non siano confortanti.

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